- 585
- 58
- 539
Quella delle etichette è una questione che ha sempre suscitato "contrasti" tra noi addetti ai lavori. Probabilmente perché non esiste una normativa ben definita per chi produce e vende direttamente per il consumo sul posto (ristoranti, tavole calde, bar, hotel, ecc).
O meglio, la normativa c'è ma non dispone regole precise, perché richiede solo che venga garantita la tracciabilità dei prodotti venduti.
Quello che forse non tutti sanno, è che in realtà l'obbligo di rintracciabilità interna non si applica alle attività come i ristoranti ma solamente alle aziende dotate di certificazioni (come per esempio la ISO 9001).
Infatti scommetto che se lo chiedessimo a dieci consulenti H.A.C.C.P. diversi, otterremmo dieci metodi diversi per essere in regola. Questo perché nessuna legge dispone in maniera precisa che cosa dovremmo scrivere nelle etichette dei semilavorati che teniamo nei frigoriferi in cucina.
In ogni caso, anche se l'etichettatura dei prodotti non è obbligatoria, può essere estremamente utile per la nostra gestione interna. E questo è decisamente il modo in cui dovrebbe ragionare un professionista serio.
Nella pratica, possiamo dire che "nome del prodotto" e "data di preparazione" sono i due dati che vanno per la maggiore, ma purtroppo in alcuni casi potrebbero non essere sufficienti.
Per i prodotti confezionati in sottovuoto la musica non cambia, anche questo però sembra non essere molto chiaro tra gli addetti ai lavori.
Infatti mi capita spesso di avere a che fare con chi si è avvicinato da poco a questa tecnica o con chi deve ancora iniziare, e le domande più ricorrenti sono "come si mette l'etichetta sulla busta?", "posso scrivere direttamente sul sacchetto o serve un'etichetta adesiva?".
Oppure mi chiedono "dove devo mettere l'etichetta" o "in quale parte del sacchetto devo scrivere?".
O ancora "posso scrivere sulla busta prima di cuocere o è meglio dopo?", e altre cose di questo genere.
Mi è capitato anche di lavorare con cuochi che non scrivevano niente nelle buste, perché convinti che "tanto si vede cosa c'è dentro, non serve scriverlo".
Peccato che questa non sia soltanto una pratica fuori legge, ma è anche un'idea concettualmente del tutto sbagliata.
Volete sapere perché? Ve lo dimostro con un esempio.
Provate a indovinare che cosa c'è dentro la busta della foto qui sotto:
Al netto delle normative da rispettare, il contenuto di una busta sottovuoto non è sempre palesemente evidente, come in questo caso (scommetto che non avete ancora indovinato!).
Pensate per esempio a un ristorante, che nel periodo invernale ha in carta diversi tipi di zuppa di legumi e ne produce grandi quantità una volta al mese, per poi conservarle sottovuoto, pastorizzate e abbattute in negativo.
Distinguere legumi che si assomigliano, cotti e confezionati sottovuoto è già abbastanza impegnativo, se poi sono congelati è ancora più difficile.
Questo perché i nostri prodotti, una volta congelati, oltre a diventare “duri” assumono anche un aspetto sostanzialmente diverso.
Penso alla lucentezza di un trancio di coda di rospo, che congelando diventa opaco.
Oppure, quanto può essere facile confondere un filetto di maiale da un girello di vitello di piccole dimensioni, se nella busta non c'è scritto nulla?
Tenere “in casa” prodotti confezionati sottovuoto senza la minima indicazione sulla busta, non è solo un sintomo di totale mancanza di professionalità ma è anche una pratica dannosa che può portare a diversi problemi. Chiamateli pure "incidenti di percorso", se preferite.
Il primo è lo spreco.
Senza almeno una data di riferimento, non si può garantire un flusso corretto di consumo.
Mi riferisco al sistema che oltre oceano chiamano “F.I.F.O.” (First In, First Out). Significa che i prodotti preparati prima sono quelli che vanno consumati per primi, per poi passare a quelli più recenti e così via.
Solo in questo modo non si corre il rischio di avere delle rimanenze di prodotti non venduti, che poi vanno inevitabilmente gettati nella spazzatura.
Ma se siete davvero professionisti, questo sistema dovreste già conoscerlo e applicarlo da sempre.
Il secondo problema è il rischio di intossicazione.
Ancora una volta, se non conoscete la data di produzione dei semilavorati che avete in frigorifero, potreste inavvertitamente mischiare le buste lasciando indietro quelli più vecchi.
Quest’ultimi, nel tempo, potrebbero superare il termine minimo di conservazione (T.M.C. ) deteriorandosi.
Inoltre, quando si lavora con il sottovuoto c’è un ulteriore fattore di rischio da tenere in considerazione, che non tutti conoscono. Questa condizione può verificarsi anche molto prima che il prodotto raggiunga il proprio TMC.
Infatti, mentre nei metodi di conservazione tradizionali il prodotto assume un aspetto sgradevole e si rende immangiabile prima di diventare dannoso per la salute, con il sottovuoto succede esattamente il contrario.
I prodotti conservati in sottovuoto, potrebbero diventare dannosi ben prima di rendersi visibilmente non commestibili.
Quindi se dovesse capitarvi di servire un prodotto del genere, mettereste in serio pericolo (seppur inconsapevolmente) la salute dei vostri commensali!
L'ultimo problema a cui andate incontro sono le sanzioni amministrative.
Nonostante dovreste preoccuparvi maggiormente (e prima di ogni altra cosa) dei due problemi precedenti, le multe sono un altro rischio da tenere in considerazione.
Infatti se in caso di controlli da parte delle autorità competenti dovessero saltare fuori delle irregolarità, l'azienda per cui lavorate (o di cui siete titolari) può ricevere sanzioni anche piuttosto salate (fino a 24.000€!).
Quindi come possiamo fare per evitare gli sprechi, azzerare i rischi di intossicazioni, e automaticamente evitare anche le multe?
Sarà sufficiente usare un sistema di etichettatura che renda possibile la tracciabilità interna delle materie prime utilizzate.
Questo perché a differenza di chi produce e vende prodotti confezionati, noi che produciamo per la vendita di prodotti sfusi da consumare sul posto non abbiamo obblighi particolari sull’etichettatura. La nostra unica responsabilità è quella di garantire la tracciabilità, oltre a mettere a disposizione dei clienti una lista degli ingredienti, evidenziando gli allergeni.
Infatti il Regolamento Europeo 1169/2011 tratta principalmente l’etichettatura degli alimenti confezionati, ma non dice chiaramente come dovremmo comportarci con i nostri semilavorati “da consumo”.
Pensate che ogni volta che scrivo i dati sulle buste, mi torna in mente una chiacchierata di qualche anno fa con un mio amico chef.
Mi raccontava di aver avuto una visita dei NAS, che stavano controllando a campione i locali della sua zona. Quando videro delle buste sottovuoto in congelatore, volevano contestargli il fatto che non avesse scritto la lista degli ingredienti sulla busta!
Non vi sembra assurdo?
In sostanza, pretendevano che tutte le sue preparazioni condizionate in sottovuoto venissero etichettate come se fossero prodotti confezionati per la vendita al pubblico.
Questo per farvi capire quanta poca chiarezza ci sia nella normativa.
Ma sapete bene che un sistema del genere, nella maggior parte delle cucine dei ristoranti (o hotel) non è minimamente praticabile. Ci vorrebbe una persona a tempo pieno solo per scrivere le etichette e monitorare tutto il sistema. Oppure un sistema automatizzato che le stampa al bisogno. È anche vero però che a oggi esistono degli accessori per la macchina sottovuoto, che ci consente di stampare l’etichetta in modo automatico al momento del confezionamento. In alcuni modelli di confezionatrici, questo accessorio è addirittura integrato. Peccato che non siano così diffuse, anche per il fatto che bisogna mettere in conto una spesa leggermente maggiore e non tutti pensano che ne valga la pena, al momento dell’acquisto.
Come dicevo un attimo fa però, dobbiamo comunque essere in grado di poter risalire all’origine dei prodotti che usiamo nelle nostre ricette.
Di conseguenza, vi elenco le informazioni che vi consiglio di riportare per lavorare in maniera professionale, che ho suddiviso tra “indispensabili” e “utili”, per la gestione interna.
Tenete però sempre presente che è comunque necessario che consultiate comunque il vostro consulente H.A.C.C.P. di riferimento, prima di decidere come comportarvi. Questo perché a livello locale ogni ASL di competenza potrebbe applicare delle norme più restrittive.
Di base quindi, potremmo dividere questi dati in due gruppi.
DATI INDISPENSABILI:
DATI UTILI ALLA TRACCIABILITÀ INTERNA:
Per le informazioni indispensabili direi che non occorrono spiegazioni, poiché si descrivono da sole. Riguardo a quelle utili per la tracciabilità interna invece, vi spiego brevemente il perché andrebbero riportate.
Il nome o codice dell’operatore è utile quando la brigata di cucina è composta da molti elementi, oppure quando la cucina è organizzata in modo che tutti preparano la linea per tutte le partite. Intendo quelle situazioni in cui c’è una lista unica di tutti i lavori da portare a termine, invece del vecchio metodo dove ogni partita pensa per sé e basta.
Questo dato, a differenza delle apparenze, non serve per mettere qualcuno alla gogna in caso di contaminazioni o intossicazioni. L’utilità di scrivere il nome dell’operatore è molto utile per capire se anche altre preparazioni eseguite lo stesso giorno dalla stessa persona possano presentare lo stesso problema. In ogni caso, un operatore che metterà il proprio nome su ogni busta di prodotto preparato si sentirà anche più responsabile, quindi sarà più probabile che lavori automaticamente con più attenzione.
Il numero di lotto si rivela efficace per esempio nelle grandi cucine dove si produce in gran quantità, e spesso si accavallano più preparazioni dello stesso tipo con date diverse. Quindi nel caso di contaminazioni di un lotto, non si è costretti a escludere tutte le riserve del prodotto interessato, ma solo il lotto incriminato.
Il tutto però, richiede almeno un registro a cui fare riferimento dove per ogni lotto è presente l’elenco dei lotti dei singoli ingredienti o le relative fatture di acquisto.
Infine il TMC (o la data di scadenza) è opportuno riportarlo nel caso in cui lavoriate in modo talmente professionale, da aver standardizzato e inserito in un registro tutte le ricette delle vostre preparazioni, richiedendo le analisi di laboratorio alla fine del ciclo produttivo di ciascuna ricetta. Purtroppo però questo tipo di organizzazione non è applicabile in tutte le realtà lavorative, perché richiede un’eccellente organizzazione ed è abbastanza onerosa.
Personalmente, negli anni mi sono ingegnato in diversi modi e penso di aver trovato, alla fine, un sistema che ritengo essere un ottimo compromesso tra velocità ed efficienza.
Però non sempre uso le etichette prestampate. Il più delle volte, scrivo direttamente sulla cornice delle buste (la saldatura di fabbrica) con un pennarello indelebile, prima di confezionare. In questo modo le scritte restano sempre leggibili perché nella maggior parte dei casi scrivo sul lato opposto all’imboccatura (A), oppure su uno dei due lati ma sempre nella parte più vicina al fondo della busta (B).
E poi ho ideato una mia nomenclatura per generare facilmente un codice di lotto, che include anche il codice dell’operatore, in modo da ridurre al minimo lo spazio necessario per scrivere.
Nelle buste scrivo quindi il nome del prodotto, la data di produzione e, se l’organizzazione lo richiede, il codice dell’operatore con il lotto. Altrimenti solo le prime due.
Se vi state chiedendo il perché proprio sulla cornice e magari state anche pensando che sia pazzo (fate bene!), vi spiego subito il motivo per cui ritengo che questa sia la soluzione migliore, almeno per me.
Intanto ho l’abitudine di scrivere l’etichetta ancora prima di inserire i prodotti nella busta. E questo sistema mi resta decisamente più pratico e veloce, perché in questa fase le buste sono ancora sottili come fogli di carta ed è molto più comodo scriverci sopra, specialmente se sono tante.
Inoltre, in questo modo so già con certezza che la parte in cui scrivo accompagnerà la busta per tutta la shelf-life del prodotto, ecco perché posso tranquillamente scrivere l’etichetta prima di utilizzarla.
Se non avete capito cosa intendo, cerco di spiegarmi meglio.
Molti professionisti hanno l’abitudine di scrivere sullo sfrido, cioè la parte rimanente tra la saldatura e l’imboccatura del sacchetto.
Questo per me comporterebbe l’impossibilità di scrivere i dati necessari prima di confezionare, perché non posso sapere di preciso quanto i prodotti arriveranno vicino all’imboccatura, in tutte le buste che mi servono. Di conseguenza non posso nemmeno sapere con certezza a che altezza corrisponderà la saldatura di ciascuna busta, col rischio di ritrovarsela proprio sopra la scritta, che diventerebbe meno leggibile.
Oltre a questo, tengo in considerazione altre due cose:
Personalmente, pur non avendo una barra saldante che lo fa in automatico, tendo a eliminare lo sfrido quando lo ritengo opportuno. Perciò non potrei sempre sfruttare questo spazio per scrivere i dati del prodotto confezionato.
Ecco quindi che il metodo per etichettare le buste che considero infallibile, è quello di scrivere sulla parte bassa della “cornice” delle buste.
Ma nonostante questo metodo sia già piuttosto efficace, siccome sono un brontolone rompiballe che non si accontenta mai, non vi nascondo che non sono ancora del tutto soddisfatto.
E infatti sto studiando un altro metodo per ottimizzare ulteriormente un sistema già valido di per sé. Magari più avanti ve ne parlerò, semmai trovassi la quadra.
Quello che invece non dovete fare mai, è scrivere con il pennarello dove capita, specialmente nella parte interna in corrispondenza dei prodotti confezionati.
Il motivo è prettamente igienico: l’impermeabilità delle buste non è totale e questo dipende principalmente da come sono disposti gli strati di materiale.
Dovete sempre considerare una minima percentuale di permeabilità delle buste che utilizzate. Scrivere sulle parti che poi si sovrapporranno al prodotto, comporterebbe una contaminazione dell’alimento dovuta dal trasferimento dell’inchiostro indelebile, che è altamente tossico.
Ora invece mi farebbe piacere che condivideste con me il vostro metodo per etichettare le buste sottovuoto (e in generale le vostre preparazioni). Quale sistema usate?
Infine ditemi: avete capito cosa c’è dentro la busta che vi ho mostrato poco fa? Che sarà mai quella cosa gialla tagliata a cubettoni?
O meglio, la normativa c'è ma non dispone regole precise, perché richiede solo che venga garantita la tracciabilità dei prodotti venduti.
Quello che forse non tutti sanno, è che in realtà l'obbligo di rintracciabilità interna non si applica alle attività come i ristoranti ma solamente alle aziende dotate di certificazioni (come per esempio la ISO 9001).
Infatti scommetto che se lo chiedessimo a dieci consulenti H.A.C.C.P. diversi, otterremmo dieci metodi diversi per essere in regola. Questo perché nessuna legge dispone in maniera precisa che cosa dovremmo scrivere nelle etichette dei semilavorati che teniamo nei frigoriferi in cucina.
In ogni caso, anche se l'etichettatura dei prodotti non è obbligatoria, può essere estremamente utile per la nostra gestione interna. E questo è decisamente il modo in cui dovrebbe ragionare un professionista serio.
Nella pratica, possiamo dire che "nome del prodotto" e "data di preparazione" sono i due dati che vanno per la maggiore, ma purtroppo in alcuni casi potrebbero non essere sufficienti.
Per i prodotti confezionati in sottovuoto la musica non cambia, anche questo però sembra non essere molto chiaro tra gli addetti ai lavori.
Infatti mi capita spesso di avere a che fare con chi si è avvicinato da poco a questa tecnica o con chi deve ancora iniziare, e le domande più ricorrenti sono "come si mette l'etichetta sulla busta?", "posso scrivere direttamente sul sacchetto o serve un'etichetta adesiva?".
Oppure mi chiedono "dove devo mettere l'etichetta" o "in quale parte del sacchetto devo scrivere?".
O ancora "posso scrivere sulla busta prima di cuocere o è meglio dopo?", e altre cose di questo genere.
Mi è capitato anche di lavorare con cuochi che non scrivevano niente nelle buste, perché convinti che "tanto si vede cosa c'è dentro, non serve scriverlo".
Peccato che questa non sia soltanto una pratica fuori legge, ma è anche un'idea concettualmente del tutto sbagliata.
Volete sapere perché? Ve lo dimostro con un esempio.
Provate a indovinare che cosa c'è dentro la busta della foto qui sotto:
Al netto delle normative da rispettare, il contenuto di una busta sottovuoto non è sempre palesemente evidente, come in questo caso (scommetto che non avete ancora indovinato!).
Pensate per esempio a un ristorante, che nel periodo invernale ha in carta diversi tipi di zuppa di legumi e ne produce grandi quantità una volta al mese, per poi conservarle sottovuoto, pastorizzate e abbattute in negativo.
Distinguere legumi che si assomigliano, cotti e confezionati sottovuoto è già abbastanza impegnativo, se poi sono congelati è ancora più difficile.
Questo perché i nostri prodotti, una volta congelati, oltre a diventare “duri” assumono anche un aspetto sostanzialmente diverso.
Penso alla lucentezza di un trancio di coda di rospo, che congelando diventa opaco.
Oppure, quanto può essere facile confondere un filetto di maiale da un girello di vitello di piccole dimensioni, se nella busta non c'è scritto nulla?
Tenere “in casa” prodotti confezionati sottovuoto senza la minima indicazione sulla busta, non è solo un sintomo di totale mancanza di professionalità ma è anche una pratica dannosa che può portare a diversi problemi. Chiamateli pure "incidenti di percorso", se preferite.
Il primo è lo spreco.
Senza almeno una data di riferimento, non si può garantire un flusso corretto di consumo.
Mi riferisco al sistema che oltre oceano chiamano “F.I.F.O.” (First In, First Out). Significa che i prodotti preparati prima sono quelli che vanno consumati per primi, per poi passare a quelli più recenti e così via.
Solo in questo modo non si corre il rischio di avere delle rimanenze di prodotti non venduti, che poi vanno inevitabilmente gettati nella spazzatura.
Ma se siete davvero professionisti, questo sistema dovreste già conoscerlo e applicarlo da sempre.
Il secondo problema è il rischio di intossicazione.
Ancora una volta, se non conoscete la data di produzione dei semilavorati che avete in frigorifero, potreste inavvertitamente mischiare le buste lasciando indietro quelli più vecchi.
Quest’ultimi, nel tempo, potrebbero superare il termine minimo di conservazione (T.M.C. ) deteriorandosi.
Inoltre, quando si lavora con il sottovuoto c’è un ulteriore fattore di rischio da tenere in considerazione, che non tutti conoscono. Questa condizione può verificarsi anche molto prima che il prodotto raggiunga il proprio TMC.
Infatti, mentre nei metodi di conservazione tradizionali il prodotto assume un aspetto sgradevole e si rende immangiabile prima di diventare dannoso per la salute, con il sottovuoto succede esattamente il contrario.
I prodotti conservati in sottovuoto, potrebbero diventare dannosi ben prima di rendersi visibilmente non commestibili.
Quindi se dovesse capitarvi di servire un prodotto del genere, mettereste in serio pericolo (seppur inconsapevolmente) la salute dei vostri commensali!
L'ultimo problema a cui andate incontro sono le sanzioni amministrative.
Nonostante dovreste preoccuparvi maggiormente (e prima di ogni altra cosa) dei due problemi precedenti, le multe sono un altro rischio da tenere in considerazione.
Infatti se in caso di controlli da parte delle autorità competenti dovessero saltare fuori delle irregolarità, l'azienda per cui lavorate (o di cui siete titolari) può ricevere sanzioni anche piuttosto salate (fino a 24.000€!).
Quindi come possiamo fare per evitare gli sprechi, azzerare i rischi di intossicazioni, e automaticamente evitare anche le multe?
Sarà sufficiente usare un sistema di etichettatura che renda possibile la tracciabilità interna delle materie prime utilizzate.
Questo perché a differenza di chi produce e vende prodotti confezionati, noi che produciamo per la vendita di prodotti sfusi da consumare sul posto non abbiamo obblighi particolari sull’etichettatura. La nostra unica responsabilità è quella di garantire la tracciabilità, oltre a mettere a disposizione dei clienti una lista degli ingredienti, evidenziando gli allergeni.
Infatti il Regolamento Europeo 1169/2011 tratta principalmente l’etichettatura degli alimenti confezionati, ma non dice chiaramente come dovremmo comportarci con i nostri semilavorati “da consumo”.
Pensate che ogni volta che scrivo i dati sulle buste, mi torna in mente una chiacchierata di qualche anno fa con un mio amico chef.
Mi raccontava di aver avuto una visita dei NAS, che stavano controllando a campione i locali della sua zona. Quando videro delle buste sottovuoto in congelatore, volevano contestargli il fatto che non avesse scritto la lista degli ingredienti sulla busta!
Non vi sembra assurdo?
In sostanza, pretendevano che tutte le sue preparazioni condizionate in sottovuoto venissero etichettate come se fossero prodotti confezionati per la vendita al pubblico.
Questo per farvi capire quanta poca chiarezza ci sia nella normativa.
Ma sapete bene che un sistema del genere, nella maggior parte delle cucine dei ristoranti (o hotel) non è minimamente praticabile. Ci vorrebbe una persona a tempo pieno solo per scrivere le etichette e monitorare tutto il sistema. Oppure un sistema automatizzato che le stampa al bisogno. È anche vero però che a oggi esistono degli accessori per la macchina sottovuoto, che ci consente di stampare l’etichetta in modo automatico al momento del confezionamento. In alcuni modelli di confezionatrici, questo accessorio è addirittura integrato. Peccato che non siano così diffuse, anche per il fatto che bisogna mettere in conto una spesa leggermente maggiore e non tutti pensano che ne valga la pena, al momento dell’acquisto.
Come dicevo un attimo fa però, dobbiamo comunque essere in grado di poter risalire all’origine dei prodotti che usiamo nelle nostre ricette.
Di conseguenza, vi elenco le informazioni che vi consiglio di riportare per lavorare in maniera professionale, che ho suddiviso tra “indispensabili” e “utili”, per la gestione interna.
Tenete però sempre presente che è comunque necessario che consultiate comunque il vostro consulente H.A.C.C.P. di riferimento, prima di decidere come comportarvi. Questo perché a livello locale ogni ASL di competenza potrebbe applicare delle norme più restrittive.
Di base quindi, potremmo dividere questi dati in due gruppi.
DATI INDISPENSABILI:
- nome del prodotto o della preparazione;
- data di produzione, che generalmente corrisponde al confezionamento.
DATI UTILI ALLA TRACCIABILITÀ INTERNA:
- nome o codice dell’operatore che ha preparato e confezionato il prodotto;
- numero di lotto.
- T.M.C. o data di scadenza.
Per le informazioni indispensabili direi che non occorrono spiegazioni, poiché si descrivono da sole. Riguardo a quelle utili per la tracciabilità interna invece, vi spiego brevemente il perché andrebbero riportate.
Il nome o codice dell’operatore è utile quando la brigata di cucina è composta da molti elementi, oppure quando la cucina è organizzata in modo che tutti preparano la linea per tutte le partite. Intendo quelle situazioni in cui c’è una lista unica di tutti i lavori da portare a termine, invece del vecchio metodo dove ogni partita pensa per sé e basta.
Questo dato, a differenza delle apparenze, non serve per mettere qualcuno alla gogna in caso di contaminazioni o intossicazioni. L’utilità di scrivere il nome dell’operatore è molto utile per capire se anche altre preparazioni eseguite lo stesso giorno dalla stessa persona possano presentare lo stesso problema. In ogni caso, un operatore che metterà il proprio nome su ogni busta di prodotto preparato si sentirà anche più responsabile, quindi sarà più probabile che lavori automaticamente con più attenzione.
Il numero di lotto si rivela efficace per esempio nelle grandi cucine dove si produce in gran quantità, e spesso si accavallano più preparazioni dello stesso tipo con date diverse. Quindi nel caso di contaminazioni di un lotto, non si è costretti a escludere tutte le riserve del prodotto interessato, ma solo il lotto incriminato.
Il tutto però, richiede almeno un registro a cui fare riferimento dove per ogni lotto è presente l’elenco dei lotti dei singoli ingredienti o le relative fatture di acquisto.
Infine il TMC (o la data di scadenza) è opportuno riportarlo nel caso in cui lavoriate in modo talmente professionale, da aver standardizzato e inserito in un registro tutte le ricette delle vostre preparazioni, richiedendo le analisi di laboratorio alla fine del ciclo produttivo di ciascuna ricetta. Purtroppo però questo tipo di organizzazione non è applicabile in tutte le realtà lavorative, perché richiede un’eccellente organizzazione ed è abbastanza onerosa.
Personalmente, negli anni mi sono ingegnato in diversi modi e penso di aver trovato, alla fine, un sistema che ritengo essere un ottimo compromesso tra velocità ed efficienza.
Però non sempre uso le etichette prestampate. Il più delle volte, scrivo direttamente sulla cornice delle buste (la saldatura di fabbrica) con un pennarello indelebile, prima di confezionare. In questo modo le scritte restano sempre leggibili perché nella maggior parte dei casi scrivo sul lato opposto all’imboccatura (A), oppure su uno dei due lati ma sempre nella parte più vicina al fondo della busta (B).
E poi ho ideato una mia nomenclatura per generare facilmente un codice di lotto, che include anche il codice dell’operatore, in modo da ridurre al minimo lo spazio necessario per scrivere.
Nelle buste scrivo quindi il nome del prodotto, la data di produzione e, se l’organizzazione lo richiede, il codice dell’operatore con il lotto. Altrimenti solo le prime due.
Se vi state chiedendo il perché proprio sulla cornice e magari state anche pensando che sia pazzo (fate bene!), vi spiego subito il motivo per cui ritengo che questa sia la soluzione migliore, almeno per me.
Intanto ho l’abitudine di scrivere l’etichetta ancora prima di inserire i prodotti nella busta. E questo sistema mi resta decisamente più pratico e veloce, perché in questa fase le buste sono ancora sottili come fogli di carta ed è molto più comodo scriverci sopra, specialmente se sono tante.
Inoltre, in questo modo so già con certezza che la parte in cui scrivo accompagnerà la busta per tutta la shelf-life del prodotto, ecco perché posso tranquillamente scrivere l’etichetta prima di utilizzarla.
Se non avete capito cosa intendo, cerco di spiegarmi meglio.
Molti professionisti hanno l’abitudine di scrivere sullo sfrido, cioè la parte rimanente tra la saldatura e l’imboccatura del sacchetto.
Questo per me comporterebbe l’impossibilità di scrivere i dati necessari prima di confezionare, perché non posso sapere di preciso quanto i prodotti arriveranno vicino all’imboccatura, in tutte le buste che mi servono. Di conseguenza non posso nemmeno sapere con certezza a che altezza corrisponderà la saldatura di ciascuna busta, col rischio di ritrovarsela proprio sopra la scritta, che diventerebbe meno leggibile.
Oltre a questo, tengo in considerazione altre due cose:
- in alcuni tipi di busta, lo sfrido tende ad arricciarsi a contatto con l’acqua o l’umidità delle celle, rendendo la lettura più difficoltosa;
- alcuni modelli di confezionatrici sottovuoto, hanno la possibilità di avere la barra saldante predisposta alla rimozione dello sfrido durante la fase di saldatura.
Personalmente, pur non avendo una barra saldante che lo fa in automatico, tendo a eliminare lo sfrido quando lo ritengo opportuno. Perciò non potrei sempre sfruttare questo spazio per scrivere i dati del prodotto confezionato.
Ecco quindi che il metodo per etichettare le buste che considero infallibile, è quello di scrivere sulla parte bassa della “cornice” delle buste.
Ma nonostante questo metodo sia già piuttosto efficace, siccome sono un brontolone rompiballe che non si accontenta mai, non vi nascondo che non sono ancora del tutto soddisfatto.
E infatti sto studiando un altro metodo per ottimizzare ulteriormente un sistema già valido di per sé. Magari più avanti ve ne parlerò, semmai trovassi la quadra.
Quello che invece non dovete fare mai, è scrivere con il pennarello dove capita, specialmente nella parte interna in corrispondenza dei prodotti confezionati.
Il motivo è prettamente igienico: l’impermeabilità delle buste non è totale e questo dipende principalmente da come sono disposti gli strati di materiale.
Dovete sempre considerare una minima percentuale di permeabilità delle buste che utilizzate. Scrivere sulle parti che poi si sovrapporranno al prodotto, comporterebbe una contaminazione dell’alimento dovuta dal trasferimento dell’inchiostro indelebile, che è altamente tossico.
Ora invece mi farebbe piacere che condivideste con me il vostro metodo per etichettare le buste sottovuoto (e in generale le vostre preparazioni). Quale sistema usate?
Infine ditemi: avete capito cosa c’è dentro la busta che vi ho mostrato poco fa? Che sarà mai quella cosa gialla tagliata a cubettoni?